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La Pubblica Amministrazione nel disegno di legge finanziaria 2002.

La controriforma dell’amministrazione di Berlusconi e Tremonti

(nota di Franco Bassanini per i Gruppi dell’Ulivo)

ottobre 2001

L’ammodernamento dell’amministrazione pubblica ha rappresentato negli anni novanta uno dei pilastri fondamentali del lavoro di modernizzazione del paese. Il disegno del centro-sinistra in questa materia era chiaro, imperniato, com’esso era, sulla riforma federale (anticipata dal federalismo amministrativo e fiscale, la conseguente valorizzazione delle autonomie regionali e locali , lo snellimento delle amministrazioni, la semplificazione dei procedimenti, la riorganizzazione delle amministrazioni statali, la responsabilizzazione dei dirigenti, la digitalizzazione delle amministrazioni e la conseguente reingegnerizzazione dei processi di decisione e gestione, l’introduzione di meccanismi di valutazione delle performance, la valorizzazione della contrattazione, il collegamento di una quota crescente delle retribuzioni alla produttività e ai risultati, e , più in generale, il superamento del modello statalistico e centralistico proprio dei sistemi amministrativi europei con il ricorso crescente al diritto comune e ad istituti di derivazione anglosassone.

A questa strategia il centro-destra oppone da un lato un tentativo di ritorno all’indietro verso il vecchio Stato burocratico e centralista, dall’altro una forte deriva in direzione dello smantellamento tout court dei servizi e delle amministrazioni pubbliche. In nome della riduzione della spesa pubblica, si trascura ogni esigenza di qualità dei servizi e delle prestazioni, forse con la finalità di imporre una privatizzazione "per disperazione" o "per abbandono" anche delle attività e dei servizi per i quali non c’è vero mercato, o per i quali l’affidamento al mercato può generare gravi distorsioni.

Il tutto avviene, poi, abbandonando la logica della concertazione, senza, cioè, che il sindacato venga coinvolto in alcun modo in un processo di così grande rilevanza per milioni di lavoratori.

Tagli ed Esternalizzazione: verso lo smantellamento delle amministrazioni pubbliche

Di questo disegno è espressione: il forte taglio delle risorse per i contratti pubblici, che produce una consistente riduzione nel valore reale delle retribuzioni; l’introduzione di un indiscriminato blocco del turn over, anche per le amministrazioni che hanno forti carenze di personale; una serie di disposizioni che incidono fortemente sulla qualità dei servizi e delle prestazioni, in ispecie nel settore della scuola, della formazione e della ricerca; forti tagli alla finanza locale, che imporranno la riduzione della qualità dei servizi locali o l’aumento delle aliquote dell’ICI e delle addizionali locali Irpef; una serie di disposizioni di privatizzazione ed esternalizzazione "selvaggia" , che preludono allo smantellamento di servizi essenziali; le nuove disposizioni sulle public utilities locali, che mettono la pietra tombale sulla riforma e sulla liberalizzazione dei servizi a carattere imprenditoriale offrendo ai Comuni l’alternativa tra l’affidamento dei servizi a monopoli privati e la conservazione in mano pubblica di aziende dequalificate.

I nostri emendamenti tendono a difendere la continuazione di un’opera di modernizzazione, riforma, riqualificazione delle amministrazioni e di miglioramento della qualità dei servizi. Per i contratti pubblici, adeguano le risorse e consentono così al Governo di rispettare l’accordo del luglio 1993 riconoscendo nella misura di circa due terzi il recupero del differenziale fra inflazione reale e inflazione programmata registrato nel biennio contrattuale in scadenza (stimando in circa un terzo la quota imputabile all’inflazione importata). Per la scuola, si aggiungono risorse aggiuntive per la contrattazione integrativa, al fine di proseguire nel processo, avviato dal Governo Amato, di adeguamento delle retribuzioni del personale docente alla media delle retribuzioni dei paesi europei dell’OCSE. Si propone poi di sopprimere l’articolo 10, che, in plateale contraddizione con quanto previsto dal DPEF, bloccherebbe di fatto la contrattazione integrativa anziché valorizzarla per promuovere la produttività e il merito.

Con altri emendamenti si ripristina la programmazione delle assunzioni, che ha funzionato in modo efficace in questi anni (tanto che l’Italia, che ha press’a poco la stessa popolazione della Francia, si trova oggi ad avere due milioni di dipendenti pubblici in meno e a spendere il 40% in meno per le retribuzioni pubbliche!). Proponiamo in ogni caso di cancellare le disposizioni che estendono il blocco delle assunzioni anche alle Regioni e agli enti locali in plateale con la riforma costituzionale ormai sul punto di entrare in vigore e con i conclamati propositi federalisti del Governo.

Una serie di emendamenti tende a correggere alcune delle disposizioni più preoccupanti per gli effetti che potrebbero avere sulla qualità dei servizi e delle prestazioni delle PP.AA.

La prima è la trasformazione di enti pubblici ed agenzie in società per azioni o in fondazioni (art. 19). Non si capisce quali siano le ragioni per questa decisione. L’unico elemento per una risposta è il generico riferimento al fatto di essere servizi più proficuamente svolti al di fuori del settore pubblico. Ma non è chiaro come questa indicazione possa trasformarsi in qualcosa di operativo, cosa concretamente significhi proficuamente nel settore dei servizi pubblici? Il Club Alpino Italiano verrà trasformato in una società per azioni?

Le seconda è la propensione verso un non meglio identificato processo di esternalizzazione della Pubblica amministrazione (art. 20), i cui contorni dovranno essere definiti con un successivo decreto. Anche in questo caso siamo in presenza di un’inaccettabile mancanza di chiarimenti in ordine ai criteri che saranno utilizzati in tale processo, ed alle metodologie che verranno seguite per assicurare l’efficacia dell’azione dell’amministrazione e tutelare le aspettative dei pubblici impiegati.

La terza è la privatizzazione dei servizi dei beni culturali (art. 22). Un’iniziativa che viene perseguita adottando un modulo elaborato per gli interventi su pochi dei beni culturali italiani e che è chiaramente incompatibile con la stragrande maggioranza degli insediamenti culturali del nostro Paese. Non è possibile trattare Pompei, con i suoi milioni di visitatori annui alla stessa stregua di beni chiaramente inadeguati a produrre reddito.

I nostri emendamenti su questi articoli tendono a ripristinare le disposizioni sulla privatizzazione, sull’outsourcing, sulla efficienza delle amministrazioni e sul contenimento della spesa che sono state introdotte nello scorso quinquennio e che, dopo una fase di inevitabile rodaggio, avevano cominciato a produrre effetti cospicui e visibili, come riconosciuto anche dagli ultimi due rapporti sull’Italia del Fondo Monetario Internazionale e dal Regulatory Reform Review dell’OCSE dedicata all’Italia.

Si innestano, su questo disegno, superficialmente liberista alcuni aspetti sui quali occorre interrogarsi se si vuole capire quale sia il disegno perseguito dal Governo quali, ad esempio, il taglio ai fondi all’e-government ed il blocco delle assunzioni.

La conclusione che se ne può trarre è una sola: il centro-destra vuole mortificare il pubblico impiego, vuole tirare fuori dalla sua orbita le professionalità migliori, le attività più redditizie, abbandonare la formazione. Il centro-destra vuole insomma interrompere il cammino di modernizzazione della pubblica amministrazione avviato dal centro-sinistra. Senza riflettere, tuttavia, sul fatto che, come ci dicono tutte le più moderne esperienze europee, se si vuole agire sulla competitività del Paese è questo il momento di investire sui servizi pubblici.

Quali servizi pubblici: dalla liberalizzazione alla trasformazione dei monopoli pubblici in monopoli privati

Le contraddizioni di questa finanziaria si evidenziano nelle disposizioni che delineano il nuovo assetto dei servizi pubblici locali attraverso la scissione tra proprietà e gestione delle reti (art. 23). Quello tracciato dalla legge finanziaria è un disegno che sconcerta, anche per la sua contraddizione piena con quello che è stato sostenuto nella scorsa legislatura.

I servizi pubblici locali, lo strumento che potrebbe e dovrebbe costituire l'asse centrale dello sviluppo locale in molte aree del Paese, viene disciplinato senza alcun riscontro con le indicazioni della disciplina legale ed economica:

  • senza tenere conto delle norme in materia di concorrenza e lasciando ampio spazio all’affidamento diretto;
  • mantenendo gli affidamenti in essere sino alle relative scadenze;
  • prevedendo la possibilità della creazione di monopoli privati in sostituzione di quelli pubblici e lasciando loro ‘mano libera’ su tutto il territorio nazionale;
  • senza una visione strategica che permetta di superare il ‘nanismo’ che caratterizza i servizi pubblici locali Italiani diversamente da quelli dei principali paesi europei.

In buona sostanza ci troviamo di fronte ad una liberalizzazione rinviata, all’interruzione di un processo al quale si era lavorato nella scorsa legislatura con l’intento di aprire l’assetto del mercato ai principi di concorrenza e buona gestione. Siamo di fronte ad un’opportunità persa per stimolare l’affermazione delle forze economiche locali.

Avanziamo al riguardo tre proposte in alternativa. Innanzitutto lo stralcio dell’articolo 23 per provvedere con un disegno di legge di riforma, anche mediante delega al Governo con contestuale indicazione di precisi principi e criteri direttivi. In secondo luogo, la sostituzione dell’articolo 23 con una riscrittura semplificata del disegno di legge di riforma che nella scorsa legislatura era stato approvato dal senato a larga maggioranza e che delinea un percorso ragionevolmente rapido di liberalizzazione, apertura del mercato dei servizi pubblici locali, con incentivi efficaci alla ristrutturazione, alla crescita dimensionale, alla competitività delle aziende pubbliche esistenti e alla loro apertura a capitali privati. In terzo luogo, una soluzione transitoria che, in attesa della riforma, non chiuda la strada della liberalizzazione e alla ristrutturazione delle aziende pubbliche.

Enti locali: autonomi o sovrani? Lo strano federalismo del centro-destra

Ma non è solo questo il dato che deve essere posto in rilievo. A livello locale, la manovra finanziaria, per come si va configurando, introduce, infatti, un disegno di stampo marcatamente centralista, in cui, cioè, gli enti locali vedono interrotto il cammino verso l’autonomia finanziaria percorso in questi anni, riaffermato con i risultati del referendum: un percorso che, nelle sue dichiarazioni programmatiche, almeno, il Governo aveva chiaramente indicato di voler proseguire.

La pervasività di tale disegno si evince da numerose disposizioni:

  • il perseguimento degli obiettivi del Patto di Stabilità è stato irrigidito attraverso la previsione di tetti di spesa per i comuni e le province sia di competenza che di cassa;
  • Si registra la riduzione dei trasferimenti erariali per le autonomie locali;
  • Viene interrotta la strada verso la compartecipazione IRPEF;
  • Il Fondo ordinario per gli investimenti è passato dai 547 miliardi del 2001 ai 220 miliardi per il 2002;
  • viene disposto il blocco delle assunzioni a livello locale;
  • gli enti locali vedranno il loro accesso al mercato dei capitali ristretto dall’azione di coordinamento svolta dal Ministero dell’economia (art. 28);

Si tratta di un insieme di misure che limitano fortemente lo spazio di autonomia degli enti locali, che delineano un’inaccettabile svolta centralista che non riconosce il ruolo svolto dagli enti locali in questi anni per il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. Si tratta, per lo più, di disposizioni e misure platealmente incostituzionali, per effetto della entrata in vigore della riforma del titolo V della Costituzione. Senza le correzioni rilevanti introdotte dai nostri emendamenti, in sintonia con quelli proposti dall’ANCI, il Governo si troverebbe a dovere fronteggiare, a metà esercizio finanziario, le conseguenze derivanti dalla provabilissima, se non sicura sopravvenienza di pronunce di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale.

(….)

Uno Stato forte, con amministrazioni locali forti

Siamo fermamente contrari al disegno perseguito dal centro-destra con riguardo alla pubblica amministrazione ed alle autonomie locali. Il centro-sinistra, coerente con le posizioni tenute in questi anni, vuole una pubblica amministrazione centrale forte, efficace, capace di valorizzare le proprie risorse.

Ed al contempo vuole che a livello locale le autonomie continuino a crescere, che vengano eliminate le pulsioni centraliste che ancora ci sono nel Paese.

Per questo proponiamo:

  • mantenimento dei trasferimenti alle autonomie locali;
  • eliminazione dei vincoli all’operatività delle stesse non contenuti nel Patto di stabilità;
  • eliminazione del blocco delle assunzioni;
  • l’avvio della compartecipazione IRPEF al 4.5%.